«Dio ci ha fatti diversi perché diventassimo amici e perché ci amassimo»
La riproduzione del Santo Sepolcro a Bologna ha segnato simbolicamente l'apertura e la chiusura di questo grande incontro di leader religiosi e politici, nell'ambito del Forum Interreligioso del G20
Cosa ha rappresentato per Bologna questo G20 delle religioni e quali rapporti lei ha con la Fondazione che coordinava l’evento?
La vocazione di Bologna è quella di essere un crocevia economico e soprattutto culturale fra sud e nord, est e ovest. È una città accogliente, dove nacque la prima università del mondo occidentale. L’architettura urbana dimostra questa vocazione con i famosi portici del centro storico, sotto i quali è possibile camminare riparandosi da pioggia o sole. Bologna quindi invita all’incontro e alle relazioni. Il Forum interreligioso del G20 che abbiamo appena vissuto conferma questa vocazione. La diocesi ha collaborato molto con la Fondazione per le Scienze Religiose (Fscire) e con il suo segretario, il mio amico professor Alberto Melloni. Lavoriamo regolarmente assieme, come testimoni di una presenza nella cultura e nella storia, anche in collegamento con la facoltà di teologia e con l’università, desiderosi di trovare un linguaggio comune. La sfida è che l’opportunità di incontro non sia separata dalla vita quotidiana.
Questo G20 interreligioso ha scelto di incoraggiare gli scambi fra leader politici e religiosi, per offrire un contributo etico all’appuntamento dei capi di Stato di fine ottobre a Roma. Il fatto che il Primo ministro italiano abbia tenuto a venire a Bologna in quei giorni attesta che la nostra “casa comune” ha bisogno di una visione più ampia, che non sia soltanto economica, ma che tenga conto della persona umana in tutte le sue dimensioni, storica ed escatologica. La laicità non viene messa in discussione, deve soltanto entrare in un dialogo rispettoso con le realtà religiose, affinché possano crescere l’armonia sociale e l’unità nella diversità.
A margine del G20 interreligioso, Lei ha celebrato una messa con tutti i sacerdoti della sua diocesi nella chiesa di San Domenico, dove riposa il corpo dell’omonimo santo. Cosa può dirci oggigiorno questa grande figura del Medioevo sul tema della fratellanza universale?
Domenico da Caleruega aveva capito che qui, a Bologna, si stavano ponendo le basi del futuro. Egli volle che la sua comunità fosse presente fra gli studenti dell’università per arricchire le menti e formare le persone attraverso la luce della fede che apre il cuore all’altro. Pochi sanno che San Domenico riposa a Bologna, tuttavia il suo messaggio attuale merita di essere valorizzato in relazione a questo G20: è l’uomo della comunità, della fratellanza. La Tavola della Mascarella su cui il primo ritratto di Domenico venne dipinto poco dopo la sua canonizzazione - scelta quest’anno come simbolo dell’ottavo centenario del Dies Natalis del santo - lo raffigura alla mensa con i suoi fratelli, i cui volti evocano diverse origini etniche. Egli visse in un periodo di transizione e può ispirarci profondamente nell’affrontare i cambiamenti epocali che stiamo attraversando.
L’11 settembre, nella chiesa di Santo Stefano a Bologna - dove si trova una grande riproduzione del Santo Sepolcro di Gerusalemme - il G20 del dialogo si è aperto con una preghiera interreligiosa per tutte le vittime di quegli attentati perpetrati nei luoghi di culto. Il G20 si è concluso il 14 settembre - festività della Santa Croce - con un concerto nella medesima chiesa, vicino alla copia del Santo Sepolcro che ricorda a tutti la Terra Santa. Quale significato riveste ai suoi occhi questo luogo simbolico?
Quando vado in pellegrinaggio in Terra Santa, amo raccogliermi da solo al Santo Sepolcro di Gerusalemme, la sera, pregando per la pace. La difficoltà di vivere insieme nella Città santa è un invito permanente al dialogo e alla pace. Dio ci ha fatti diversi perché diventassimo amici e perché ci amassimo: è il messaggio di questo G20 del dialogo e dell’incontro.
Intervista a cura di François Vayne
(ottobre 2021)