150 anni fa l’arrivo di Bartolo Longo a Pompei
È in corso nel Santuario della Beata Vergine del Santo Rosario di Pompei il “Cammino Giubilare Longhiano”, uno speciale Anno Santo per ricordare il 150° anniversario dell’arrivo di Bartolo Longo e della sua chiamata, nel mese di ottobre 1872. Inaugurato il 1° ottobre 2022, l’anno giubilare, durante il quale sarà anche possibile, alle solite condizioni, lucrare l’indulgenza plenaria, terminerà il 31 ottobre 2023.
In questa occasione, l’Arcivescovo di Pompei, Monsignor Tommaso Caputo, ha rivolto alla città e ai fedeli una lettera dal titolo “Dall’illuminazione interiore di Bartolo Longo un nuovo slancio per Pompei e un modello per il mondo”.
È lo stesso Longo a raccontare, in una pagina del suo volume “Storia del Santuario dalle origini al 1879”, il primo arrivo nella “Valle sconsolata” che egli definiva “solitaria, triste, temuta, fuggita da gente civile”. Era l’ottobre 1872 quando il giovane avvocato si ritrovò in Località Arpaia, per le strade pericolose di questa terra e sentì quell’ispirazione interiore: «Se cerchi salvezza, propaga il Rosario». Quel giorno la sua vita cambiò radicalmente e, negli anni, Bartolo Longo divenne “l’uomo della Madonna”, come affermò San Giovanni Paolo II nell’omelia della Beatificazione; fondò il Santuario, visitato ogni anno da circa due milioni di pellegrini; le Opere di Carità, dedicate agli orfani e ai figli dei carcerati; e la stessa Nuova Città di Pompei. Un fatto storico, collocato nel tempo e nello spazio, ma che continua a parlare all’uomo contemporaneo, ai cittadini di Pompei e ai devoti di tutto il mondo, in questo presente complesso. E parla anche, in modo del tutto speciale, alla grande famiglia dei Cavalieri e delle Dame dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, al quale apparteneva anche Bartolo Longo, unico Beato laico dell’Ordine, annoverato tra i suoi membri nel 1925, dall’allora Gran Maestro, Papa Pio XI, con provvedimento Motu Proprio, in segno di apprezzamento verso una persona straordinaria.
«Ciò che sentiamo di dover fare oggi, per amore della nostra comunità, della Chiesa di Pompei e di tutti i devoti della Madonna del Rosario – scrive Monsignor Caputo nella Lettera per il 150° anniversario – non è semplicemente sfogliare l’album da quell’illuminazione interiore in poi. Ma vedere come essa possa continuare, oggi, in questo primo drammatico scorcio del terzo millennio, a segnare il nostro cammino e, quel che più conta, diventare paradigma di un “nuovo inizio” non solo per la città di Maria, ma per il mondo intero». L’esperienza mistica di Bartolo Longo segna, come spiega l’Arcivescovo, “un momento di svolta”. Quella scintilla iniziale diventa, citando il Libro dell’Esodo, un “roveto ardente”, fuoco che genera un nuovo inizio, del quale c’è, anche oggi e ovunque, assoluto e urgente bisogno. «Le crisi d’oggi si chiamano, più spesso, emergenze; – considera il Prelato, guardando al presente – abbiamo imparato a conoscerne tante e tuttora siamo nel pieno di un’emergenza sanitaria, sociale ed economica, per il Covid che fatica a togliere il disturbo e per un insensato conflitto nel cuore del nostro Continente».
L’esempio del Beato e di chi, con lui, non si arrese alle difficoltà, traccia una via da seguire. «Il pensiero – prosegue la Lettera – ritorna a Valle di Pompei. A quella scintilla che diventò fuoco. Bartolo Longo e poi i pompeiani non furono “spaventati dalla crisi”, ricordando che, come afferma Papa Francesco, il “Vangelo stesso è il primo a metterci in crisi”. Sembrano scritte per la condizione di Valle di Pompei, le parole del Papa sulla crisi come prova che passa al vaglio e di fronte alla quale l’esperienza del buio, della debolezza, della fragilità, delle contraddizioni e dello smarrimento non fa sentire schiacciati». La disperazione non può appartenere ai credenti, anche dinanzi alla più grave delle crisi. Ed è per questo che la Lettera dell’Arcivescovo diventa un invito alla speranza, a guardare il futuro con fiducia.
L’esperienza del Beato diventa oggi programma anche per la Chiesa e la comunità civile di Pompei. «Via Arpaia – spiega Monsignor Caputo – potrebbe chiamarsi via del Rosario di Pompei o via della fondazione della città di Maria. Quell’attimo è diventato storia. Quell’attimo è cresciuto, via via ad accompagnare i passi di una comunità nuova che si è resa consapevole dell’ineffabile risorsa affidata nelle proprie mani e ne ha fatto tesoro. Era il Rosario a legare Bartolo Longo alla terra che si distendeva davanti a lui a partire da Località Arpaia. Era la preghiera a misura di Pompei, la città di Maria protesa verso il Regno celeste».
Si deve «riscoprire – esorta l’Arcivescovo – lo spirito di quel tempo, risvegliare l’entusiasmo sopito, ritrovare il gusto di investire sulla speranza». E questo riguarda non solo Pompei, in un nuovo millennio che non poteva presentarsi peggio: «Dopo l’anno di straordinaria quiete, quasi un atto di omaggio al Grande Giubileo nel segno della pace e della riconciliazione, ecco il feroce attacco alla Torri Gemelle e, nella scia di altri sanguinosi attentati, la vasta geografia di guerre dimenticate, fino al conflitto scatenato dalla Russia ai danni dell’Ucraina. La guerra nel cuore dell’Europa e, prima ancora, per quasi tre anni, il tormento di una pandemia che ha seminato lutti e sconvolto un mondo sempre più smarrito e disorientato».