Omelia del Gran Maestro presso la Basilica di San Pietro

Pellegrinaggio Giubilare, Roma 23 ottobre 2025

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Omelie Cardinale Filoni - 3

Cari Cavalieri e Dame,

Simone di Galilea, pescatore sul lago di Tiberiade, è chiamato da Gesù a seguirlo insieme a suo fratello Andrea, a Giacomo e Giovanni, suoi soci. Gesù gli cambierà il nome e gli annuncia che lo farà pescatore di uomini. Nel gruppo de­gli Apostoli, vediamo poi Pietro parlare a nome di tutti e Gesù lo vuole con sé nei momenti centrali della sua vita, come durante la Trasfigurazione e nell’Orto degli Ulivi.

Avrà da Gesù il compito di custodire la Chiesa e, no­nostante il suo rinnegamento, Gesù lo riconfermerà in questa missione a Tiberiade, presso quel lago dove tutto era iniziato. Pietro, in seguito, assumerà il ruolo di primo testimone, opererà guarigioni, sarà convocato dal Sinedrio e più volte arre­stato. Pietro continuerà a sostenere la Chiesa di Geru­salemme e lo slancio missionario di Paolo e degli altri apostoli. La tradizione lo vuole a Roma negli ultimi anni della sua vita e colloca il suo martirio durante le persecuzioni di Nerone nel 67. La tradizione e l’iconografia lo descrivono crocifisso a testa in giù, in rispetto alla crocifissione del Maestro, sepolto infine su questo colle Vaticano, dove un’iscrizione e un muro rosso, qui sotto, riportano: «Pétros ení» (Pietro è qui).

 

«Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».

E Gesù gli disse: «E io a te dico: Tu sei Pietro

e su questa pietra edificherò la mia Chiesa

e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa». (Mt 16,16-18)

 

In queste righe del Vangelo abbiamo la fede personale di Pietro, che viene trasmes­sa e professata anche da tutti i suoi successori, ma al tempo stesso anche quella di Gesù, quando gli risponde: «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18).

La fede di Pietro nasce, glielo conferma Gesù stes­so dall’alto, dal «Padre mio che è nei cieli» (Mt 16,17); un precedente c’era già stato in quella memorabile serata in cui, con il mare in tempesta, il Signore era apparso camminando sulle ac­que e le aveva calmate: «Davvero tu sei Figlio di Dio!» (Mt 14,33) aveva esclamato Pietro del tutto stupito. Una fede, dunque, che fu lungamente in incubazione a contatto con le pa­role e i segni operati dal Maestro. Sarà nell’evento pasquale che la sua fede però maturerà: davanti al sepolcro vuoto, nell’incontro con il Risorto la sera della risurrezione, mentre erano riuniti a porte chiuse; e, infine, a Tiberiade, dopo la pesca miracolosa, dove «nessuno dei discepoli osava domandar­gli: “Chi sei?”, perché sapevano bene che era il Signore» (Gv 21,12). Proprio là, a Tiberiade, Pietro farà la professione di amore dopo essere stato per tre volte interrogato: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami… ?» (Gv 21,15-17). È il momento in cui Gesù gli affida il primato dell’amo­re. Di conseguenza, il giorno della Pentecoste toccherà a lui rivolgersi agli abitanti di Gerusalemme e procla­mare: «Gesù di Nazaret, uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni … Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, … [e] costituito Signore e Cristo» (At 2,22.24.36).

Questa fede di Pietro era passata attraverso una lunga purificazione, giacché la sua immagine del Messia non pre­vedeva né il mistero della sofferenza di Gesù («Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai» [Mt 16,22]), né il servizio umile («Tu non mi laverai i piedi in eterno!» [Gv 13,8]) e nemmeno la rinuncia alla lotta («Rimetti la spada nel fodero» [Gv 18,11]); eppure, tutto ciò era ancora poca cosa rispetto alla conclamata profferta di dare la sua vita per il Maestro («Darò la mia vita per te!» [Gv 13,37]), vil­mente rinnegata nell’atrio della casa di Caifa («… e subito un gallo cantò» [Gv 18,27]). Benedetto XVI commenterà che Pietro ha dovuto imparare l’umiltà del discepolo, il cammino della sequela e l’umiltà del servizio.

La fiducia di Gesù in Pietro, diversamente, nasce dall’a­verlo scrutato nel profondo, nell’intimo, nonostante le sue umane ti­tubanze, le sue contraddizioni, ma anche la sua splen­dida generosità.

Conoscendone il cuore, Gesù gli mutò il nome in Pietro, Cefa.

È su questa sincerità del cuore che si fonda la fiducia di Cristo in Pietro e nei suoi successori: «Simone, Simo­ne, ecco: Satana vi ha cercato per vagliarvi come il gra­no; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,31-32); una fiducia di Gesù in Pietro che resta legata a una promessa. A lui Gesù assicura: «Le potenze degli inferi non prevarranno» (Mt 16,18). Va qui ribadito che la fiducia di Cristo è in rela­zione non solo alla sua persona, ma anche alla Chiesa; una Chiesa non sempli­cemente istituzione finalizzata a sé, ma destinata a essere inviata a un mondo che ha bisogno di luce («Voi siete la luce del mondo» [Mt 5,14]) e in grado di risplendere; par­liamo di un servizio al tempo stesso divino e umano, in cui sia Gesù a operare anche attraverso di noi, pur tra le nostre debolezze e fragilità.

A Pietro, dunque, il Signore affidò la custodia della sua Chiesa nel pellegrinaggio terreno. Di essa, Simon Pietro è, al tempo stesso, figlio, custode e guida, come appare fin da subito, nel provvedere alla sostituzione di Giuda nel Collegio apostolico: poi ancora nella pre­dicazione il giorno della Pentecoste, alla folla radunata e stupefatta, nell’accoglienza delle pri­me conversioni, nella difesa della prima comunità cristiana davanti al Sinedrio, nel giudizio di Anania e Saffira per simonia, nel soffrire il carcere, nel compiere viaggi apostolici e segni por­tentosi e, soprattutto, nell’ammissione al Battesimo del centurione romano Cornelio senza chie­dergli di sottoporsi alla circoncisione, essendosi reso conto che «Dio non fa preferenza di persone» (At 10,34).

La dimensione salvifica di Cristo, che gli Aposto­li portano al mondo appartiene ora a tutta la Chiesa che si raccoglie attorno a Pietro e ai suoi successori, come «colonne» (Gal 2,9) di una spe­ranza non solo terrena e personale ma escatologica e universale, segno e mistero di fede tra i popoli; e Pietro è chiamato a presiedere la communio a livello globale. Una communio nella quale sono custodite la sacramen­talità e la santità della Chiesa e in cui specialmente la dimensione della carità, nella sua accezione più ampia, risulta da subito centrale.

La Chiesa, in cui Cristo vive, ha bisogno di Pietro e dei suoi successori, i quali, con la loro confessione di fede, esercitano il primato dell’amore, così essenziale per l’unità in mezzo alle variegate comunità cristiane; al tempo stes­so, essi presiedono alla collegialità episcopale e difendono la libertà del Vangelo; una libertà che apre la strada all’in­contro con le culture, le religioni e le visioni politiche più diverse nello spirito di fraternità e verità in Cristo. A questa visione siamo legati anche noi Cavalieri e Dame del Santo Sepolcro di Gerusalemme secondo la volontà del Beato Pio IX e dei suoi Successori.

Pietro, colui che confessò di essere ‘peccatore’, professando indegni­tà davanti a Gesù, diventò la guida stabile per il popo­lo di Dio. Se c’è posto per Pietro, colui che dap­prima tradì per paura e poi, ravveduto, fu confermato alla guida della Chiesa, possiamo credere che ci sia spa­zio per noi, oggi pellegrini in questa Basilica petrina. La disponibilità alla conversione, ossia a ri­mettersi sulle orme di Gesù, apre ogni cuore, come per Simon Pietro, a seguire quelle impronte con decisione.

Ubi Petrus, ibi Ecclesia (dove c’è Pietro, là c’è la Chie­sa), sentenziò sant’Ambrogio, e noi Cavalieri e Dame del Santo Sepolcro di Gerusalemme oggi sul sepolcro di Pietro, ci gloriamo di essere uniti a lui e ai suoi Successori, condividendo con il Papa la sua sollecitudine per la Terra Santa.  

Amen.

 

NB: L’omelia pronunciata nella Basilica di San Pietro riprende la ‘meditazione’ (Pietro di Galilea e la duplice fede) del Cardinale Gran Maestro in “I miei giorni sono nelle tue mani”, Edizioni San Paolo 2025.