"Alla scuola di Maria si apprende la carità"
Omelia del Cardinale Fernando Filoni, Gran Maestro dell’Ordine del Santo Sepolcro, in occasione della Celebrazione Eucaristica nel giorno della Supplica alla Beata Vergine Maria del Santo Rosario di Pompei, il 4 ottobre 2020
Cari fratelli e sorelle in Cristo,
Una venerabile tradizione vuole che la prima domenica di ottobre, dopo l’8 maggio, si rinnovi la pia pratica della recita, presso questo Santuario mariano, della Supplica alla Regina del Santo Rosario. È un appuntamento caro alla pietà popolare ed io sono particolarmente lieto di essere qui con voi, tanto più in quest’anno del mio 50° anniversario di vita sacerdotale. Ringrazio l’Arcivescovo per le sue parole di accoglienza ed il Clero per questo invito che mi permette di pregare con voi e di rendere grazie a Colei che fu madre del primo sacerdote, Cristo, e di ogni sacerdote che riceve in dono la missione di rinnovare sacramentalmente la presenza di Gesù nel mondo. C’è sempre un parallelismo adeguato tra Maria che genera Gesù e il sacerdote che genera l’Eucaristia.
Venire a Pompei significa venire a una scuola, quella di Maria dove si apprende che cos’è la fede, si impara a pregare e a dilatare il cuore nella carità. Pompei è anche una palestra che ci permette di uscire da una pigrizia spirituale e da una visione della vita arrotolata su se stessa. Qui il respiro di Dio genera la pace interiore, rinnova la speranza, fa comprendere che la fede non è estranea alla storia della vita e a quella del mondo.
Il mistero della vita di Gesù – penso alla sua nascita, alla sua missione e alla sua morte redentrice - si comprende solamente stando accanto alla fede di Maria che divenne lo spazio aperto perché Dio si manifestasse visibilmente nel nostro mondo, da sempre articolato attorno ad una trama incerta e confusa di sé. Maria divenne allora il segno della fecondità della fede, dal momento che Ella stessa dovette fidarsi della Parola di Dio, comprendendola poi gradualmente negli avvenimenti difficili di cui divenne parte: pensiamo alla sua maternità non ordinaria, alla vita con Giuseppe e con il bambino nato da lei, agli anni lunghi e silenziosi di un’esistenza nascosta e semplice in un insignificante villaggio della Galilea, Nazaret, alla vedovanza, all’esodo del figlio per una missione tra odi, incomprensioni e ammirazione suscitati da una predicazione accompagnata da segni prodigiosi; infine, pensiamo alla fine drammatica di Gesù con l’atroce morte in croce di cui Maria fu testimone raccogliendo l’ultimo gemito del Figlio.
Maria maestra della fede ci comunica così il senso del nostro vivere, mentre il nostro tempo passa segnato da peccati, violenze, da tante tristezze e contraddizioni.
Il Vangelo di oggi è un po’ il paradigma di tali contraddizioni: il padrone di un campo pianta una vigna, la cura, spende tempo e denaro; ma deve partire e l’affida a dei contadini che gli dovranno dare poi parte del raccolto, del vino. Ma i vignaioli non intendono mantenere la promessa; tentano di appropriarsi della vigna e arrivano perfino a uccidere il figlio del padrone, costringendolo a ritornare e a far valere duramente i suoi diritti (cfr. Mt 21, 33-43).
In questa storia manca qualcosa. È infatti una storia di vicende umane, che conta su calcoli di sopraffazione e di ingordigia; ma la storia a cui Gesù intende fare riferimento nella parabola è altra; egli si riferisce al Regno di Dio, che ha diversa prospettiva, altri attori e una vicenda che non può fare a meno del ruolo di Maria. È attorno a lei, infatti, che si aduneranno gli apostoli, formando il popolo nuovo a cui verrà affidata la vigna e dato lo Spirito Santo.
Il Regno di Dio ha bisogno di Maria, non può fare a meno di Lei. Con Lei la visione di ogni storia cambia. Come cambiò quella di Cana di Galilea, dove, con il suo intervento risoluto, Maria salvò gli sposi dal grave disagio in cui si sarebbero venuti a trovare nel giorno più bello, rovinato da un’imperdonabile carenza di vino: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2, 5), dirà Maria agli inservienti; e la storia di quella giovane coppia cambiò.
La mano tesa di Maria che spinge il Figlio ad agire mutando l’acqua in vino, da allora in poi non si è mai più ritirata; anzi preme continuamente sul cuore di Dio a venire incontro alle nostre necessità. Nel rosario Maria si unisce alla nostra cadenzata preghiera, sostenendoci nelle afflizioni e nei mali che ci rattristano: quante guerre e violenze fratricide che rendono infelici anche gli stessi sopravvissuti, quante distruzioni; pensiamo alla fame e alle povertà che abbrutiscono e umiliano, guardiamo alle famiglie divise e lacerate per sempre; e che dire della droga che uccide, del consumismo che annebbia la vista, delle tante malattie che ci fanno soffrire? La radice di tutte queste tristezze è nella finitezza umana, ancor più dolorosamente percepite lì dove manca il senso dell’eternità. Maria educa all’eternità, ci incoraggia ad alzare lo sguardo e il cuore verso Dio e ci insegna a pregare.
Ma alla scuola di Maria si apprende anche la carità. La carità dilata il cuore, lo rende sensibile; Gesù stesso non poté esimersi di fronte all’impellente domanda della Madre: fate quello che egli vi dirà. Da quell’istante non solo ai servitori, ma allo stesso Figlio non restò che ubbidire. Mai più nel Vangelo, Maria apparirà così decisa nello spingere Gesù ad agire. In verità, non ce ne sarebbe stato più bisogno perché il cuore dilatato di Cristo non si sarebbe più chiuso. Il mistero della carità dunque continua. Qui a Pompei questo mistero è ben vivo e presente. Io stesso ieri, visitando alcune Opere sociali, sono rimasto edificato, favorevolmente sorpreso di vedere come, attorno a questo Santuario, albero sotto cui tanti vengono a trovare rifugio, ci siano così splendidi fiori. Così dobbiamo riconoscere che, accanto al miracolo del vino, c’è anche quello del pane, lo stesso che permise presso il lago di Tiberiade di saziare migliaia di persone con cinque pani e pochi pesci (cfr. Gv 6, 1-3). Le opere di carità attorno a questo Santuario, parlano di una moltiplicazione senza fine: di una lunga mensa per i poveri, di asili per madri e bambini in difficoltà, di centri per il recupero dalle dipendenze più distruttive e di accoglienza di migranti che giungono attraversando pericolosamente il Mediterraneo. La carità qui è poliedrica secondo l’intuizione del beato Bartolo Longo, di cui celebriamo domani la ricorrenza liturgica e quest’anno il 40° anniversario della Beatificazione.
Sacramentalmente parlando, il supremo atto di carità di Cristo verso di noi sta nell’Eucaristia - pane e vino, il suo Corpo e il suo Sangue. Sarà un dono definitivo che si colloca al centro del Regno di Dio. Fu allora, che nel raccogliere le parole del Signore - “Fate questo in memoria di me!” - la Chiesa nascente sentì in esse anche l’eco delle parole di Maria che diceva agli inservienti di Cana: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela!”. Due espressioni che si uniscono in una sola. La Chiesa accolse pienamente quell’esortazione e, mentre ancora oggi riattualizza il Miracolo della presenza sacramentale di Gesù, riattualizza anche il miracolo della carità per i più poveri, perché i due “miracoli”, l’Eucarestia e la Carità, sono inscindibili. Fede e carità, qui, in Pompei, dunque, si uniscono, si intersecano e camminano insieme. In questa casa, a questa scuola di Maria la fede produce la carità e la carità dilata la fede: questi sono i doni che riceviamo.
Con la Supplica chiederemo oggi a Maria di continuare ad essere nostra Maestra e Madre, di tenerci nella sua casa accanto a Gesù, di riannodare le fila interrotte della nostra vita, di riannodarci a Dio; le chiederemo che non venga meno nella Chiesa il dono dell’Eucaristia e il mistero della carità, ed imploreremo la misericordia e la pietà divina per le nazioni e il mondo intero afflitto da tanti mali. Amen.