L'Ascensione del Signore
Che vuol dire Ascensione del Signore? L’evento ci è narrato dagli Atti degli Apostoli (At 1, 9-11), ma ne parla brevemente anche Marco (Mc 16,19) alla conclusione del suo Vangelo, e poi Luca (Lc 24,50), che riprende la narrazione proprio negli Atti, quasi a collegare il tempo di Gesù con quello della Chiesa. I due evangelisti, dopo aver parlato della vita del Signore, della sua morte e risurrezione si limitano comunque a pochi cenni relativi alla dipartita del Signore. Dopo quaranta giorni dalla risurrezione, il Risorto mette da parte le attese di chi spera in una restaurazione politica di Israele, porta i Discepoli verso Betania, ricorda loro che gli saranno testimoni in Gerusalemme, nella Giudea e nella Samaria e fino agli estremi confini della terra, poi “elevandosi in alto viene sottratto al loro sguardo” (At 1, 11).
Con queste ultime suggestive parole si conclude il tempo storico di Gesù fra noi. Tristezza o perplessità nei Discepoli? Entrare nel cuore umano è sempre non agevole. In verità, rileviamo un’ultima confortatrice benedizione del Signore, il quale, prima di sottrarsi al loro sguardo, porta consolazione e vigore: ora essi possono tornare “a Gerusalemme con grande gioia” (Lc 24, 52) iniziando la propria testimonianza su Gesù. Come scrive Benedetto XVI in Gesù di Nazaret, con l’Ascensione la presenza del Risorto non è più spaziale, ma divina; Gesù non va da qualche parte, ma entra nella comunione trinitaria che gli permette di essere, al tempo stesso, ma in modo altro, presente accanto a noi; il suo diviene, pertanto, un «ritornare» in modo nuovo; infatti, dice San Paolo, noi non lo conosciamo più secondo la carne (cfr. 2 Cor 5, 16), ma secondo la fede e la grazia battesimale.
Anche la Chiesa, con questa festa liturgica conclude il ciclo degli eventi legati alla vita del Signore dopo averli ripercorsi dall’incarnazione alla morte/risurrezione. Il tempo liturgico che seguirà, verrà dedicato alla riflessione sull’opera e la predicazione di Gesù, alla nascita della Chiesa (Pentecoste), ai grandi misteri della fede (SS. Trinità, Corpus Domini, Regalità di Cristo), alla memoria di Maria e dei Santi, agli eventi che hanno fatto crescere la stessa Chiesa per l’impulso dello Spirito Santo (missionarietà, vocazioni, vita religiosa, ecc.).
Con l’Ascensione, dunque, Gesù ritorna al Padre e alla comunione trinitaria portando con sé tutta l’esperienza umana, in quanto vero uomo. Non si tratta di un aspetto secondario. Questo «portare con sé» la propria umanità, sebbene ora gloriosa, significa che Gesù non rinuncia a nulla di quanto ha vissuto; proprio nulla. In fondo, potremmo dire, in un senso analogico, che Dio «si arricchisce» di essa. Gesù porta con sé al Padre il suo volto, con la richiesta di perdono, la sua generazione secondo la carne, la sua educazione umana e religiosa, la sua consapevolezza di vita trascorsa in una famiglia, la propria fede vissuta nella tradizione ebraica, le relazioni umane più variegate: i sentimenti in relazione alla madre, al padre, agli amici, ai compaesani, ai parenti, alle donne, ai nemici, ai romani, agli accusatori, ai beneficiati, ai farisei, ai sacerdoti del Tempio, agli apostoli; porta ancora con sé l’esperienza della compartecipazione alla vita della gente: la commozione per la morte dell’amico Lazzaro e per il figlio della vedova di Nain, la solidarietà per lebbrosi, la lotta per liberare i tormentati dal demonio; e poi ancora il senso di fame, la tentazione, il tradimento, l’angoscia, la paura, la chiusura dei cuori e delle menti nei suoi confronti; porta anche con sé, e per sempre, la gioia nel pregare che affascinava i Discepoli, l’intima letizia per chi ha goduto del perdono, il fervore della gente saziata dal pane, la felicità incontenibile di chi era stato guarito da infermità escludenti, la gratitudine dei poveri, l’ammirazione per la natura: guardate gli uccelli del cielo, osservate i gigli del campo (cfr. Mt 6, 26.28); insomma, ogni aspetto della sua esistenza trascorsa tra noi. Ma avrà soprattutto presente l’esperienza del dolore vissuto nel proprio corpo: l’ingiusta condanna, l’umiliazione più profonda, l’abbandono e quel tormento fisico per le piaghe mai cicatrizzate, attraverso le quali sempre implorerà la comprensione per noi del Padre. Infine, la morte. A noi lascerà l’insegnamento di chi ha autorità: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori (cfr. Mt 5, 44).
Gesù, con l’Ascensione, conclude la sua esperienza storica, ma inaugura dunque una nuova relazione con noi: “Ecco io sono con voi fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20), promettendo di dare “la forza dello Spirito Santo, che scenderà su di voi” (At 1, 8). Fidarsi o non fidarsi? Qui entra in gioco la fede. La Chiesa ora vive alla luce di questa promessa e di questa fede nella sua missione di andare e ammaestrare tutte le genti, battezzandole per la loro incorporazione alla vita trinitaria divina lasciatale, come rivelazione incomparabile, in dono.
Quando professiamo che Gesù è asceso al cielo, ora sappiamo che siamo di fronte ad una prospettiva di vita altra nella quale il Risorto ci ha preceduti; non il vuoto immaginato per un addio: anzi, dice Gesù, “è bene per voi che io me ne vada perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò” (Gv 16, 7).
Con lo Spirito Santo inizierà per la Chiesa un tempo nuovo e una missione nuova; come per Maria, lo Spirito Santo la renderà madre feconda nella gioia della maternità, ma anche sofferente, come ogni madre per i figli perduti.
Maria e la Chiesa: stessa missione di portare Gesù.
Fernando Cardinale Filoni
(Ascensione del Signore 2020)