L’Eucaristia, un dono per noi

Breve riflessione spirituale

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GiovedìSanto

Il Giovedì Santo, per noi Sacerdoti e per la Chiesa, è un giorno particolarmente significativo e importante da vivere nella fede e nella memoria di Gesù che ha lasciato sé stesso in questo Testamento sorprendente; ciò è avvenuto in un modo che sempre ci sorprende al pensiero della Santità di Dio e di come Cristo abbia desiderato rimanere tra noi.

In effetti, ogni volta che pensiamo alla Santità divina non ci resta che entrare in crisi; siamo infatti turbati dalla nostra indegnità, come il Profeta Isaia, il quale confessava la propria miseria tanto che, per soccorrere alla sua ritrosia, l’Altissimo gli invia un Serafino che, tenendo un carbone ardente, lo purificò toccandogli le labbra:  ora «è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato» (Is 6, 7);  o come Mosè, al quale l’Eterno chiede di togliersi i calzari di fronte al roveto della sua Santità (Es 3,5).

«Non c’è Santo come il Signore» (1 Sam 2,2), proclamava Anna, madre di Samuele, alla quale Dio aveva tolto la sterilità; e Osea, il profeta della passione amorosa di Dio, rivelava che il Santo è in mezzo a noi: «Sono il Santo in mezzo a te» (Os 11, 9).

La Santità di Dio, infatti, si è manifestata in Gesù, ed è possibile riconoscerla solo per il dono dello Spirito Santo, il fuoco che non consuma, il carbone purificatore: «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato» (Gv 6, 44).

L’Eucaristia è il dono di sé del Signore nell’ultima cena, prima del suo patire; è un vero «Testamento» e nessuno può umanamente riconoscerne la validità sacramentale - «Questo è il mio Corpo … questo è il mio Sangue» (Mt 26, 26-27; Mc 14, 22.24; Lc 22, 19-20; 1Cor 11, 2 4-25) - se non confessandolo con la bocca e credendo con il cuore (cfr. Rm, 10, 9) la parola sconcertante del Maestro; ciò è possibile, dunque, solo sotto l’azione dello Spirito Santo (cfr. 1Cor 12, 3).

Nella sua missione salvifica Gesù era stato prefigurato nella soppressione del giusto Abele, legato mani e piedi in Isacco, venduto in Giuseppe, anticipato nell’agnello pasquale, come diceva San Melitone di Sardi in una sua nota Omelia pasquale. L’Eucaristia, tuttavia, fu prefigurata nell’offerta del pane e del vino di Melchidesech (Gen 14, 18-20; Ebr 5, 6-10), anticipata nella manna caduta dal cielo nel deserto (Es 16, 14), intravista nel nutrimento della vedova di Zarepta per Elia il Tisbita (1Re 17, 7-18) e, infine, vagheggiata nella generosità di Booz per Rut, la spigolatrice straniera.

È Cristo, infatti, che nell’Eucaristia rinnova sacramentalmente il dono di sé nel pane e nel vino affidandosi ai suoi sacerdoti che ne perpetuano la «memoria»; in questo Atto di culto c’è sempre, eternamente, un amore incommensurabilmente (cfr. Gv 15,13) sorprendente che travolge ogni sentimento e ogni logica considerazione. È una grazia grande di cui nessuno può vantarsi; l’Eucaristia, anzi, ci misura quotidianamente con la nostra indegnità.

Eppure, Egli ha voluto così, ben sapendo chi era Pietro, Giovanni, Andrea …, e guardando oltre, chi siamo noi!

In questo modo sublime e arcano desiderio di voler rimanere tra noi, Cristo si è collocato al centro, nel cuore della Chiesa. Ed ama affidarsi alla «custodia» di chi nell’adorazione fa dell’Eucaristia il centro della propria consacrazione e della propria vita spirituale.

Penso poi a quanti il Signore, nel carisma che è proprio, ha affidato il dono della sua presenza sacramentale, a quanti Egli ha affidato il privilegio di custodirlo e, proprio nell’adorazione, di continuare l’unzione di Maria di Betania, aggregando ogni volta a sé gli amici e le amiche dello Sposo che lo attendono.

Come sacerdoti, consacrati e consacrate riceviamo quotidianamente l’affidamento di questo «Testamento», anche se, in questo affidarsi a noi, vorremmo avere l’amore di Maria, la madre che lo portò dapprima nel suo grembo e poi lo custodì nel suo cuore, o almeno la passione di Maria di Magdala, o magari anche l’ardore di Pietro e la fede carnale di Tommaso, che lo confessò umilmente: «Mio Signore e mio Dio! ».  Ci teniamo però la nostra povertà, che il Signore ha preferito non toglierci, avendola assunta nella sua Incarnazione, di cui l’Eucaristia è il prolungamento sacramentale, anche se per noi nella semplicità della forma di un pane e di un vino.
 

Fernando Cardinale Filoni

(Giovedì Santo 2020)