Realizzare l'incontro nel dialogo: Sete di Pace 2016 ad Assisi

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Sete di Pace ad Assisi 2016

«Questo è lo spirito che ci anima: realizzare l’incontro nel dialogo, opporsi a ogni forma di violenza e abuso della religione per giustificare la guerra e il terrorismo. […] Niente è impossibile se ci rivolgiamo a Dio nella preghiera. Tutti possono essere artigiani di pace; da Assisi rinnoviamo con convinzione il nostro impegno ad esserlo, con l’aiuto di Dio, insieme a tutti gli uomini e donne di buona volontà.»

Nelle parole dell’appello di pace 2016 firmato il 20 settembre dai leader religiosi ad Assisi durante la cerimonia conclusiva dell’incontro “Sete di Pace”, promosso dalla Diocesi di Assisi, dalle Famiglie Francescane e dalla Comunità di Sant’Egidio a 30 anni dalla Giornata di Preghiera per la Pace del 27 ottobre 1986, sono presenti i punti centrali di questa tre giorni di dialogo e preghiera.

Prima della firma dell’appello, il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, ha delineato con chiarezza i tratti della pace: « Non ci può essere pace senza rispetto e riconoscimento reciproco, non ci può essere pace senza giustizia, non ci può essere pace senza una collaborazione proficua tra tutti i popoli del mondo.» E alla domanda su cosa sia concretamente la giustizia, troviamo una risposta nel suo intervento: « Giustizia è essere coerenti con quanto professiamo e crediamo, ma capaci di dialogo con l’altro, capaci di vedere le ricchezze dell’altro, capaci di non sopraffare l’altro, capaci di non sentirci superiori o inferiori del nostro prossimo. Giustizia è far sì che ognuno continui a vivere nella terra dei propri avi, in pace e amore, che possa tornare al suo focolare domestico per la crescita della società umana.»

L’importanza della preghiera è risuonata forte nel discorso di Papa Francesco: «La preghiera e la volontà di collaborare impegnano a una pace vera, non illusoria: non la quiete di chi schiva le difficoltà e si volta dall’altra parte, se i suoi interessi non sono toccati; non il cinismo di chi si lava le mani di problemi non suoi; non l’approccio virtuale di chi giudica tutto e tutti sulla tastiera di un computer, senza aprire gli occhi alle necessità dei fratelli e sporcarsi le mani per chi ha bisogno.»

Non sono mancati riferimenti alla situazione in Medio Oriente. Prima dei discorsi dei leader religiosi, l’assemblea ha ascoltato la testimonianza di Tamar Mikalli, una giovane donna proveniente da Aleppo e arrivata in Italia tramite i corridoi umanitari. Nelle sue parole, la tristezza non solo per la perdita della propria terra ma anche per la volontà di fare differenze fra cristiani e musulmani quando prima non ve ne erano nella libertà che ognuno aveva di professare la propria fede.

Durante la preghiera ecumenica cristiana che ha avuto luogo prima della cerimonia conclusiva, una candela è stata accesa per i vari paesi le cui popolazioni si trovano a vivere situazioni di conflitto. Una delle ultime è stata accesa per la Terra Santa, tanto cara ai Cavalieri e Dame del Santo Sepolcro.

Con quest’attenzione, uno dei panel del 19 settembre è stato dedicato al "Vivere insieme tra le religioni in Israele”. A rappresentare la Chiesa Cattolica Mons. Giacinto Boulos Marcuzzo, vescovo ausiliare del Patriarcato Latino di Gerusalemme per Israele. Nel suo intervento ha sottolineato, oltre ad altri aspetti, tre livelli di dialogo che si compiono in maniera tutta particolare in Terra Santa. Innanzitutto, il dialogo intorno alla Parola di Dio che se, da un parte, mostra come l’idea stessa del dialogo venga dalla Rivelazione, dal dialogo tra Dio e l’uomo, dall’altra fa sì che raramente si trattino temi legati alla giustizia viste le problematicità e la delicatezza della situazione fra le varie comunità. Altro dialogo proprio a questa Terra è quello intorno ai Luoghi Santi che rappresenta un’occasione unica perché gli uomini si avvicinino a Dio e gli uni agli altri. Infine, non va dimenticato il dialogo dei pellegrini che, appartenenti ad una tradizione religiosa, fanno comunque tesoro dell’esperienza di trovarsi in una terra sacra per altre comunità.

Chiudendo con le parole del rabbino Daniel Sperber, dell’Università Bar Ilan in Israele, che ha partecipato allo stesso panel, Gerusalemme « dovrebbe e potrebbe essere un luogo di convergenza per un dialogo costruttivo, tra rappresentanti religiosi che si stimino reciprocamente, che siano pienamente consapevoli degli enormi pericoli delle "guerre di religione", e che cerchino un modus vivendi teologico e pratico che porti alla pace e all'armonia autenticamente desiderate da tutti gli amanti del bene. E in questo modo si compirà la profezia di Isaia, quando scrive (56, 7):
li condurrò sul mio monte santo
e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera.
[…]
perché la mia casa si chiamerà
casa di preghiera per tutti i popoli”


Elena Dini

(21 settembre 2016)