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Preghiera e carità

 

II tempo di Quaresima ci invita a vivere spiritualmente e concretamente le dimensioni della preghiera e della carità. Alcuni passaggi su questi due temi presi dal libro - “E tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento” (cfr. pag. 53-62) – potrebbero aiutarci nella nostra riflessione

 

Anzitutto la preghiera:

Nella nostra vita la preghiera non dovrebbe mai mancare.

Nella famiglia di Nazaret, Gesù apprese a pregare secondo lo stile ebraico nella sinagoga del suo villaggio. La preghiera apparteneva alla vita di Gesù e ciò suscitava anche nei discepoli il desiderio di imitarlo; pertanto, non solo la raccomandò, ma insegnò a pregare.

Il “Padre nostro” è la preghiera per eccellenza, ed essa divenne contenuto e traccia; il Signore poi educò anche alle modalità del pregare: senza ipocrisia, nella riservatezza, senza sprecare parole. Il “vegliare” in preghiera, infine, appare nei Vangeli un’evidente costante del Signore prima dei momenti più importanti: così la notte antecedente la sua passione, il Signore chiese ai suoi discepoli di vegliare e di pregare insieme a Lui.

Pregare appartiene, di per sé, anche allo stile e alla natura della Chiesa; pertanto, è bene che ciascuno impari a pregare e che lo faccia costantemente. Nella preghiera, infatti, si esprime la fede. Non la “nostra” fede, ma quella di Gesù alla quale siamo aggregati. Sempre nella preghiera dobbiamo altresì chiedere a Cristo di permettere a noi di unirci a Lui per rivolgerci insieme al Padre e ottenere il dono dello Spirito Santo, secondo lo splendido insegnamento di Sant’Agostino, il quale diceva che il Signore Gesù «prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio».[1]

Quanto alla carità, Benedetto XVI in uno dei suoi più attraenti documenti del pontificato scriveva che «la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera»[2] è la carità, di cui Gesù Cristo s’è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione. La carità è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità in ogni attività, in particolare nel campo della giustizia e della pace. Si tratta qui di comprendere che la radice della carità è Cristo: la sua vita, il suo insegnamento, i segni che lo accompagnavano, la sua passione, morte e risurrezione.

Gesù mai fa l’apologia della carità; egli la mostra concretamente in riferimento alle persone in stato di necessità: i poveri, gli ammalati, la donna accusata di adulterio, gli stessi indemoniati; e anche al dottore della Legge che gli chiedeva: «Chi è il mio prossimo?» (Lc 10,29). Gesù non dà spiegazioni ma racconta la parabola del buon samaritano, quella dell’uomo che scendendo da Gerusalemme a Gerico incappò nei briganti, i quali lo derubarono e lo malmenarono fino a lasciarlo abbandonato mezzo morto; solo un samaritano si prese cura di lui. La conclusione divenne evidente: «Va e anche tu fa’ così» (Lc 10,37).

Insieme alla preghiera, che esprime la fede, anche la carità prolunga la presenza di Cristo nel mondo se l’amore per il prossimo è radicato nell’amore di Dio; questo aspetto è fondamentale nella visione cristiana, perché l’amore per il prossimo si libera da una certa neutrale concezione antropologica e recupera quella teologica stabilita da Cristo; l’amore per il prossimo è un compito che riguarda ogni singolo fedele, ma, al tempo stesso, appartiene anche all’intera famiglia ecclesiale: da quella locale alla Chiesa universale nella sua globalità. In quanto poi uniti al mistero di Cristo, sacramentalmente attraverso il battesimo, il cristiano percepisce di essere membro di una stessa famiglia, quella di Dio, il quale ci chiama a non perdere mai di vista la nostra appartenenza e la nostra missione di bene, alla quale siamo ulteriormente indirizzati e rafforzati dalla nostra vocazione personale, come sposati, celibi, consacrati, ma anche come membri di associazioni specifiche. Gli impegni da noi assunti hanno una rilevante importanza e sono in linea con quanto ricordano sia gli Atti degli Apostoli – tutti coloro che erano diventati credenti facevano parte del proprio agli altri, secondo il bisogno di ciascuno (cfr. At 2,44-45) – sia l’apostolo Paolo, il quale, in particolari momenti di calamità, di persecuzione e di carestia, chiese alle comunità di Antiochia, Grecia, Galazia e Macedonia di ricordarsi dei «santi» in Gerusalemme e di tenere collette, che egli poi definì generose, anzi «al di là dei loro mezzi» (2Cor 8,3-4). Il cristiano percepisce, pertanto, in questo comune impegno, di carità e di preghiera, di avere uno dei “tratti” caratteristici, che gli permette di esercitare la propria spiritualità attraverso «una spiccata generosità» tratta dalle «proprie risorse materiali»[3]; vale ricordare qui le splendide parole di San Leone Magno, papa, il quale diceva ai suoi cristiani di Roma: «Sia più larga la generosità verso i poveri e i sofferenti perché siano rese grazie a Dio. Ed essa avvenga con gioia»[4]. La gioia del bene!. La Quaresima ci spinge a camminare su questo duplice binario: la preghiera e la carità.

Fernando Cardinale Filoni

(marzo 2022)

 

[1] Dal commento sui salmi di Sant’AGOSTINO, vescovo, Sal 85, 1; CCL 39, 1176-1177.

[2] BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, n.1; ma si veda anche l’altra enciclica Deus caritas est.

[3] Si veda in merito l’Art. 4 dello Statuto

[4] S. LEONE MAGNO, papa, Discorsi (n.10) sulla Quaresima, 3-5, PL 54, pp. 299-301.