«Dio sorprende sempre»

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Galatone

A inizio luglio il Cardinale Fernando Filoni, Gran Maestro dell’Ordine, ha presieduto la Santa Messa per il 400° anniversario del prodigio dell’Icona del SS.mo Crocifisso della Pietà a Galatone, paese d’origine della sua famiglia. Riproponiamo qui la sua omelia per alimentare la nostra meditazione.

 

Cara Eccellenza, cari fratelli e sorelle,

Da 400 anni ricordiamo, nella nostra tradizione cittadina e nella memoria della nostra fede, l’evento secondo cui la prodigiosa immagine del Cristo della Pietà, si manifestava allo sguardo di uomini e donne in preghiera; il velo, che la sottraeva alla vista dei fedeli, si scostò lateralmente, lasciando che gli astanti, in preghiera, entrassero direttamente in contatto con l’immagine di Gesù, ivi affrescata.

Parliamo della rappresentazione di un Cristo sulle cui spalle è poggiato un mantello purpureo che, dopo la flagellazione - come ricorda il Vangelo di Giovanni - gli era stato fatto indossare per scherno, essendosi proclamato il «Re dei Giudei»; il suo volto appare tumefatto, gli occhi socchiusi e le mani legate; è il corpo sofferente, tormentato dalla crudeltà umana. Un’immagine forte.  Nonostante il dramma, il Cristo ivi raffigurato lascia trasparire sentimenti di pace e di offerta: nella visione di Isaia profeta, era “come (di un) agnello condotto al macello, come (una) pecora muta …(che) non aprì la sua bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo” (Is 53, 7-8).

Nei devoti fedeli di quel 2 luglio del 1621, che si erano radunati davanti alla sacra Icona, c’era il desiderio di pregare il Signore Gesù, di percepirlo nell’affetto del cuore; sentimenti non dissimili da quelli espressi nel Salmo 26 (7-8), dove è scritto: “Di te diceva il mio cuore: Cercate il suo volto. Il tuo volto, Signore, io cerco”. 

Gesù, in verità, rivelò agli astanti il suo volto.  Dio sorprende sempre. Le mani del Cristo parvero slegarsi e, con gesto naturale, una di esse allontanò il velo messo a protezione della sacra Icona.  Stupore e commozione presero i presenti.  Quel gesto del Signore, così semplice e, al tempo stesso prodigioso, ebbe vari testimoni e rimase vivo nella memoria e nella tradizione del nostro popolo; fu l’atto con cui il Cristo sembrò voler guardare egli stesso e lasciarsi guardare, permettere che gli occhi suoi e dei fedeli si incontrassero.

Fermiamoci brevemente su qualche aspetto più significativo relativo all’evento: il desiderio di Cristo di lasciarsi vedere e la preghiera dei fedeli riuniti alla quale Gesù sembra poi unirsi.

La storia dell’arte e della teologia della Chiesa ha una lunga tradizione circa l’immagine, il volto di Cristo.  Fin dall’antichità, dopo coloro che ebbero la felice ventura di aver visto il Signore, magari raccontandone anche i lineamenti, nacque la più ricca iconografia artistica: questo fino ai nostri giorni.  Non c’è pittore che non si sia cimentato con il volto e le sembianze del Cristo e che non abbia cercato di interpretarne le fattezze.  Anche l’Icona di cui parliamo, lo è. L’immagine sacra che noi contempliamo in questo Santuario, non è però una semplice raffigurazione di un’idea artistica; essa manifesta il mistero teologico della salvezza: la passione del Signore, la sua morte e  la vita ‘altra’. Questa Icona, qui sapientemente dipinta, coglie tutto il mistero redentivo.  San Paolo, nella seconda Lettera ai Corinti, spiegava che nel Vangelo che egli predicava, splendeva tutta la gloria di Dio, quello che nemmeno la sacra Tradizione vetero-testamentaria aveva potuto così sapientemente rappresentare, annotando che “la conoscenza della gloria di Dio (si rifletteva) sul volto di Cristo” (2Cor, 4, 6).

La singolarità dell’evento che ricordiamo, non sta esclusivamente nel prodigio di una mano che scosta il velo protettivo, ma in qualcosa di più profondo:  rappresenta, quasi plasticamente, il desiderio di Dio di rivelarsi in Cristo.

In verità, la storia sacra è sempre storia della rivelazione dell’amore di Dio avvenuta in molti modi e tempi, secondo l’insegnamento della Lettera agli Ebrei: “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio … (che è) irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente” (Eb 1, 1-2). Dio, in Cristo, ha tolto quel velo che era ancora steso nell’Antico Testamento; l’evangelista Matteo commenta poi che, nel momento della morte del Signore sul Golgota, “il velo del tempio - che separava la parte più sacra da quella dei fedeli - si squarciò in due da cima a fondo” (Mt 27, 51).

Nella storia di una salvezza che continua, c’è dunque presente il senso della rivelazione e dell’amore di Dio, come per l’incontro tra due sguardi: quello di Dio di farsi conoscere e dell’essere umano di conoscerlo; pensiamo, ad esempio, ai sentimenti di un padre o di una madre che desiderano rivedere il figlio o la figlia perduti e viceversa di un figlio o di una figlia di conoscere il volto del proprio padre o della propria madre mai conosciuto!  È lo stesso sentimento, così ben espresso nelle parole dell’apostolo Filippo, il quale, sentendo Gesù parlare accoratamente del Padre, gli disse: “Signore, mostraci il Padre e ci basta” (Gv 14, 8). 

Vedere Dio faccia a faccia è stato sempre l’anelito più profondo dell’essere umano non senza timore, quello che fu dal principio di Adamo che parlava con il suo Creatore, o di Abramo allorché ricevette dall’Eterno la prima Alleanza, o di Giacobbe che in visione vide la gloria dell’Eterno sulla sommità di un’altissima scalinata, o, infine, di Mosè, che rimase quasi impietrito dai fenomeni fragorosi della presenza di Dio sul Sinai e si rifugiò nella cavità di una rupe (cfr. Es 33, 22). Di quest’ultimo aspetto biblico ne parlerò tra poco per la sua analogia con la morte di Cristo.

Con Gesù cambia tutto; egli è lo sguardo del Padre; egli rivela il Padre nella sua persona; non è solo l’essere umano che pertanto cerca Dio, ma è Dio stesso che in Cristo cerca l’umanità.  San Giovanni, nel Prologo del suo Vangelo, lo spiegava bene: nessuno ha mai visto Dio, ma, nel Verbo incarnato, abbiamo contemplato il suo volto e visto la sua gloria, abbiamo ricevuto il dono della grazia e conosciuto la verità (cfr. Gv 1, 14 e ss.).  Gesù, dunque, ha rivelato il volto del Padre. Questa rivelazione, benché completa nella sua essenza teologica, rimane aperta, non per dire qualcosa di nuovo, ma per accompagnare le moltitudini nel cammino della salvezza.

Nella teofania, cioè nella manifestazione di Dio a Mosè sul Sinai, dicevo prima, questi, profondamente impressionato e impaurito dai fenomeni che si manifestavano davanti a lui, si rifugiò nella cavità di una rupe; il racconto biblico dice che lì si sentì protetto come nel cavo di una mano, e vide la gloria di Dio. C’è in questo racconto qualcosa che anticipa il mistero tremendo della passione e morte del Signore; con l’uccisione ingiusta di Gesù l’universo ne fu sconvolto. Poi il corpo venne deposto nel sepolcro scavato nella roccia; in quella sepoltura si intravede il gesto pio come di una mano tesa a proteggere l’umanità inerte di Cristo nel seno della terra; ma nel momento in cui Dio tolse quella ‘mano’, cioè quella pietra che ostruiva l’ingresso del sepolcro, si squarciò il velo della morte e fu vita ‘nuova’!  Gesù è risorto!  La risurrezione è vita ‘altra’.  Nell’Icona del SS.mo Crocifisso della Pietà, Gesù è rappresentato né sulla croce, né nel chiuso di un sepolcro; la Croce diviene gloriosa ed appare collocata alle spalle del Signore, e il sepolcro si mostra definitivamente aperto.

Nel gesto del Cristo che scosta il velo ritroviamo dunque il desiderio di un Dio che non ama restare racchiuso nemmeno nell’altissimo Mistero della Trinità, ma si apre a noi.

In questa immagine del SS.mo Crocifisso della Pietà, così sacra e a noi cara, Dio rivela il suo modo di amare, offrendo se stesso quale vittima.  L’evento che la nostra tradizione ci racconta essere avvenuto qui a Galatone, ci parla di Gesù che mostra il proprio volto a chi prega.  Per questo la Chiesa ci invita a stare, sempre con gli occhi della preghiera, rivolti al Signore della vita e, guardando a Lui, ad allargare il nostro sguardo al mondo per portare un riflesso di quell’amore che incantò e meravigliò i testimoni di quell’evento prodigioso. San Paolo confessa che nel Cristo crocifisso ha trovato la conversione, ha visto la compassione di Dio per lui peccatore, ha piegato le sue ginocchia e divenne missionario del Vangelo.

Vorrei concludere con un’ultima esortazione, sulla preghiera. Essa non dovrebbe mai mancare nella vita del cristiano perché ci apre a Dio; fa sporgere il cuore fuori di noi stessi, fuori dal nostro corpo e ci protende verso il divino, verso l’eterno. La preghiera toglie, inoltre, il velo delle ipocrisie che sono in noi e ci libera dai vari condizionamenti della nostra esistenza.  Essa crea il legame e la relazione tra il nostro cuore e il cuore di Dio; apre alla collaborazione della grazia, al primato della misericordia e cura le ferite dell’anima. Essa, la preghiera, non potrà mai essere egoistica, ci apre al mondo e diventa assolutamente ‘carità’.  Quando qualcuno chiede: “Per favore, preghi per me!”, non sta forse elemosinando un gesto di ‘carità’?  Pregare non è effettivamente un primo atto di ‘carità’ che si compie, cioè che per amore di Dio ci apre all’altro?

Cari fratelli e sorelle, noi oggi troviamo questo messaggio potente nell’evento prodigioso di cui celebriamo il quattrocentesimo anniversario, mentre con la nostra rievocazione nella presente preghiera liturgica, si rinnova il miracolo dello sguardo di Dio che si apre su di noi.  Chiedendo che si squarci il velo della nostra incredulità, dell’indurimento del nostro cuore e dell’indifferenza che egoisticamente a volte sembrano prevalere in tanti aspetti della vita, chiediamo la cura dei nostri peccati. Amen.

 

(2 luglio 2021)